Learning from São Paulo

Casa Pico in Lugano von Angelo Bucci (mit Baserga Mozzetti)

Lugano cambia. Progetti infrastrutturali ed alcune importanti opere pubbliche ne mutano l’assetto e l’immagine (1). Per soddisfare la clientela sempre più internazionale della terza piazza finanziaria svizzera numerosi edifici residenziali sorgono in ogni residuo costruibile del tessuto urbano. Raramente però il nuovo assume un ruolo positivo nella formazione della città e del suo spazio pubblico (2). Fortunatamente nascono sporadiche ma esemplari iniziative private, spesso promosse dagli architetti stessi. Casa Pico nasce per iniziativa degli ingegneri Pedrazzini, che da molti anni condividono con gli amici Baserga Mozzetti e Angelo Bucci comuni passioni per un architettura strutturale e territoriale.

Il terreno prescelto dagli ingegneri intriga per la sua particolare situazione topografica e per le sfide legate ai vincoli pianificatori. Situato alla base della collina di Viganello sul retro si confronta con le pendici del monte Bre e confina con due strade di quartiere, in dislivello tra loro. Attorniato da densi edifici puntuali si affaccia perpendicolarmente sul vuoto del parco urbano sottostante e sul lago, che si può scorgere solo dall’alto.

La forma del lotto (un poligono irregolare di soli 1000 m2) insieme ai limiti normativi e regolamentari – i vincoli di vicinato impediscono di affacciarsi direttamente su via Vicari per creare un fronte urbano – predefinisce il corsetto figurativo del disegno.

Il progetto preliminare di Baserga Mozzetti propone un elegante volume euclideo staccato da terra: un prisma autonomo, svincolato dai limiti discontinui. Il piano terreno rimane libero e fruibile al passeggio grazie all’inserimento degli uffici dello studio d’ingegneria in un seminterrato illuminato da un sapiente gioco di muri, vuoti e scavo.

Angelo Bucci pur mantenendo alcuni principi guida del progetto preliminare raccoglie la sfida con grande capacità immaginativa percorrendo una strada lontana dagli usuali canoni ticinesi. Il suo atteggiamento contestuale non avversa, anzi abbraccia i vincoli e la forma poligonale del lotto per reinventare il linguaggio figurativo del nuovo progetto.

Parterre urbano

Il piano terreno del nuovo progetto rimane anche per Bucci completamente aperto. Vi si snoda una promenade pubblica che assolve molti compiti. Lungo il percorso tra le due strade tematizza il dislivello offrendo momenti di pausa e contemplazione. Inoltre relaziona vettorialmente le distinte parti del programma con le rispettive entrate articolando vari gradi di spazio pubblico.

Bucci evidenzia in questo disegno anche il terreno artificiale, parzialmente rialzato, con alcuni vuoti che lasciano intravedere il piano interrato del garage attraverso le grate. Lo spazio del piano città si arricchisce poi della presenza trasparente dello studio-atelier, un volume orizzontale che si proietta sul fronte di via Vicari infilandosi sotto al corpo di fabbrica della residenza privata.

Nella parte retrostante verso via Pico s’innalza la struttura ordinatrice del progetto che contribuisce a organizzare gli spazi di entrata e a contenere discretamente lo studio, regalandogli intimità.

Struttura e invenzione

A Casa Pico tecnica strutturale e invenzione progettuale sono intrinsecamente legate tra loro. Una doppia struttura ortogonale a T - un tavolo su cui appoggiano le solette intermedie - organizza lo spazio domestico interno, dividendo i due nuclei delle stanze dei figli e dei genitori attorno ad un fluido spazio centrale di convivenza. Irrigidendo le solette sostiene le spinte orizzontali così da eliminare architravi che avrebbero diminuito l’altezza interna. La struttura scelta permette pure un alto grado di flessibilità verso cambi programmatici consentendo di organizzare uno o due appartamenti per piano.

Ai bordi una fine struttura a pilastri accompagna pragmaticamente la pianta organica, aperta a ventaglio verso tutti i lati del perimetro del lotto.

La sobria espressione costruttiva dell’involucro e degli interni, l’impiego di pochi materiali (beton, vetro, legno, MDF e terrazzo) illustrano con chiarezza e razionalità la distinzione delle parti e la loro funzione tettonica.

Pure la facciata poligonale si compone di elementi distinti e additivi, corsie orizzontali e pannelli verticali a tutt’altezza opachi o trasparenti. La sua filigrana leggerezza si riflette anche nel dettaglio negativo di congiunzione tra i pannelli, mentre la sua materialità marca una presa di distanza concettuale dal paesaggio minerale del quartiere.

Queste ed altre scelte, come il toit jardin collettivo molto apprezzato dagli inquilini, illustrano la matrice razionalista scandinava del progetto. Anche forma e tipologia ricordano progetti di Aalto e la torre di Tami, nella quale gli ingegneri avevano lo studio precedente.

Aldilà della reinterpretazione di questi canoni Bucci riesce a realizzare a Lugano, grazie alla sua torre paulista versione swiss miniature e soprattutto grazie al piano città aperto, il sogno di quella “città per tutti” immaginata dai pionieri dell’architettura brasiliana come Vilanova Artigas e Mendes Da Rocha, una città che paradossalmente nel suo paese non è più possibile concretizzare. E questo mi pare sia un contributo molto stimolante per il contesto del nostro paese.

(1) Ad esempio il nuovo accesso alla città dalla galleria Vedeggio-Cassarate, la futura stazione di Alptransit, il  polo culturale del LAC e il futuro Campus universitario

(2) La debolezza della pianificazione e l’estrema frammentazione parcellare, il carattere individualista della popolazione locale e uno scarso intervento pubblico hanno impedito a Lugano e in Ticino operazioni di ampio respiro capaci di creare quei quartieri e spazi collettivi che caratterizzano altre città svizzere.. cfr. Paolo Fumagalli “Il collettivo in Ticino” in Archi 6/2013.

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