Paolo Fumagalli

1941-2019

Alberto Caruso

La scomparsa di Paolo Fumagalli lascia un grande vuoto nel mondo della cultura architettonica ticinese. La sua autorevolezza deriva da una vita di battaglie sui temi del mestiere, delle città e del territorio.

I suoi progetti hanno lasciato un segno importante nella storia moderna della città di Lugano. La pista di ghiaccio Resega, il Liceo 2, la sistemazione degli spazi pubblici del centro storico e tanti edifici testimoniano la qualità del suo lavoro.

E’ stato presidente della FAS Ticino, ha fondato e presieduto l’Archivio Architetti Ticinesi ed ha presieduto la Commissione Cantonale per il Paesaggio.

Ma l’attività che ha fatto conoscere Paolo Fumagalli all’opinione pubblica è stata l’attività di critica che ha svolto da sempre, diventando un punto di riferimento del dibattito architettonico. Dal 1972, per un decennio, ha diretto Rivista Tecnica, la storica rivista della SIA Ticino, difendendo la nuova architettura moderna dalla reazione dei vecchi potentati professionali. Poi è stato redattore di Werk, bauen + wohnen e, successivamente, ha curato, dal 2003 al 2017, la rubrica di attualità di Archi, la rivista in italiano della SIA.

E’ stato un critico “combattente”, un militante della critica che ha esercitato con rigore, senza fare sconti a nessuno. E’ stato intransigente verso la politica, alla quale addebitava le maggiori responsabilità per la gestione liberistica del territorio. Fin dagli anni ’90 ha denunciato il degrado delle relazioni sociali e gli sprechi di risorse e di energia conseguenti alla diffusione degli insediamenti e al mancato governo del territorio. Era consapevole della inadeguatezza delle città ticinesi, che sono rimaste piccole e non hanno offerto valide alternative alla nuova domanda di abitazioni. L’architettura ticinese degli anni ’70 e ’80, diventata famosa nel mondo perché ha aggiornato i concetti e i linguaggi del movimento moderno, ha tuttavia perso la sfida territoriale.

Fumagalli ha messo a punto un concetto critico sul rapporto tra architettura e urbanistica, secondo il quale la condizione territoriale costituisce il limite della qualità dell’architettura. La definizione più aggiornata di qualità architettonica, quindi, è da cercare nel modo in cui il progetto affronta la condizione territoriale. Non esiste la qualità in sè. Le abitazioni considerate di qualità architettonica eccellente, se sono dislocate sul territorio in modo diffuso costituiscono comunque una sconfitta dell’architettura. Il territorio è per Paolo Fumagalli la condizione dal cui riscatto l’architettura ticinese può tornare a rivendicare un primato.

La scrittura di Fumagalli è profondamente diversa da quella usata dai critici e dagli storici di professione. Se, infatti, il compito dell’architetto è di modificare la realtà per migliorarla, ciò non è possibile senza criticare la realtà, senza assumere una distanza da essa. Questo atteggiamento conferisce alla scrittura una tensione che può esprimere chi progetta e costruisce, e che non può possedere chi scrive per professione.

Da vero combattente, ha dedicato le sue ultime settimane a selezionare i testi pubblicati su Archi, per farne un libro che uscirà tra breve. Anche grazie alla spinta del suo pacato entusiasmo, Archi ha attraversato una stagione felice, conclusasi nel 2017, nella quale ogni tema trattato dalla rivista veniva riportato alle problematiche della condizione territoriale, trasmettendo nei lettori un invito pressante a guardare criticamente il mondo.

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