Forma Struttura

L’ultima opera di Livio Vacchini è un suo capolavoro. Sale polivalenti Mülimatt a Windisch di Studio Vacchini architetti

Francesco Buzzi

“Tu poursuivais la conaissance. Les plus grossiers essayent de préserver déséséperement jusqu’aux cadavres des morts. D’autres bâtissent des temples et des tombes qui ils s’efforcent de rendre indestructibles. Les plus sages et les mieux inspires veulent donner à leur pensées une harmonie et une cadence qui les défende des alterations.comme de l’oubli.” (1)

La lezione di Vacchini

Ordine: una parola magica e terribile, densa di significati, che affascina e intimidisce. Essere architetto significa essere sempre alla ricerca di un ordine che possa risolvere, abbracciare ed integrare il disordine della natura delle cose, perfetta imperfezione del mondo.

Ogni giorno è una ricerca paziente di un ordine armonico, di un ordine che sia in relazione con l’uomo e la Natura, con l’essenza delle cose, in equilibrio tra autonomia e assimilazione. È un dialogo costante, tormentato dall’assenza di certezze materiali ed immateriali, che regala il piacere di scoprire il nuovo e di penetrare l’antico, che assume il rischio e lo sbaglio come condizione permanente.

Progettare diventa allora l’indagine del limite fisico e tecnologico, dell’essenza e potenzialità del costruire e della sua materia (2) : la ricerca di un’idea da portare fino alle sue estreme conseguenze a garantire l’unicità e l’integrità dell’edificio, a sostenere l’unicità del fatto architettonico.

Capire l’ordine, nel grande, nel piccolo, una sfida im-possibile, un cammino lungo e faticoso, inevitabile, che si rinnova continuamente, nella poiesis (3) , nella poetica del fare. Un progetto da affrontare con la mente del principiante (4) , alla ricerca della perfezione immanente alla vita (5) , indagando con ostinazione le sue regole, i dogmi - come amava dire Vacchini– attraverso il pensiero (6), la logica rigorosa, togliendo sé stesso dall’opera per ritrovare sé stesso e il reale nella propria costruzione. Un percorso per diventare uno, per fare un’architettura, da affrontare anche con ironia e distanza, una giusta distanza dalle cose. Questione di misura, quindi.

Questa la lezione di Vacchini, uomo di poche parole, che preferiva tacere con la sua architettura. Maestro, senza essere Professore, la cui opera è ancora da comprendere pienamente, che continua a parlarci e lo farà per molto ancora.

Vindonissa – un tetto scavato dall’acqua

Il nuovo centro sportivo è immerso nel verde lungo le rive del fiume Aar, un luogo vasto, longitudinale, ma anche intimo, ai piedi della città di Windisch. Lo si percepisce soprattutto dall’alto, dai binari della linea ferroviaria che scorre accanto la fiume.

Vacchini vi progetta un tetto, come fosse unicamente “un rifugio contro pioggia e sole, senza chiusure, senza appoggi, libero sui lati” (7). Con un solo gesto arcaico ma allo stesso tempo squisitamente tecnologico la struttura passa dalla terra al cielo. Come in “un blocco di pietra scavato dalle intemperie e levigato dal fiume” (8) l’acqua piovana scorre lungo la struttura dal tetto fino al suolo. La struttura annuncia quindi il suo prospetto rappresentativo orientandosi verso il fiume, la città ed il cielo, per lasciare libero dalla piattaforma interna lo sguardo verso (e dal) il paesaggio della sponda fluviale.

Per rispondere a questa condizione Vacchini rinuncia alla simmetria radiale, diversamente dalla palestra di Losone o da altri edifici pubblici ed in apparente contraddizione con le sue stesse teorie precedenti. Anche i piedritti del telaio a nord verso la ferrovia si appoggiano a livello del terreno circostante, mentre al fiume si allungano per appoggiarsi al livello inferiore del terreno.

Vacchini non è descrittivo né evocativo, analogamente all’opera di Stravinskij nella sua opera primeggia l’interesse per la logica, solida costruzione musicale, sopra un’inesorabile impalcatura ritmica (9) .

La poetica non risulta dalla volontà di espressione formale e di quello che potrebbe sembrare un’arroganza di effetti spettacolari, ma dalla compressione e precisazione dell’enunciato, frutto di un radicale processo di astrazione e chiarezza, figlio di un pensiero che si fa materia, di una materia che si fa pensiero: “un’oggettività elementare che non solo non si oppone al complesso, ma ne costituisce la condizione necessaria” (10), un eclissi del linguaggio, un grado zero, universale, che parla da sé, auto evidente.

Forma Struttura

La correlazione tra principio strutturale, idea di spazio e potenzialità del materiale sono una costante dell’opera vacchiniana (11) . Il grande spazio indiviso delle palestre triple, da cui si contempla il paesaggio fluviale, trova la sua espressione nella struttura tridimensionale a lastre corrugate in cemento armato precompresso che ne avvolge il volume.

A sottolinearne la predominanza, la struttura interna vi è collegata unicamente attraverso i tiranti della soletta delle palestre. La struttura interna degli spazi serviti (piccole palestre, spazi per seminari, spogliatoi ecc.) è dunque indipendente.

É forse per questo motivo che all’alta qualità strutturale e alla sua perfetta esecuzione materiale attraverso la prefabbricazione si è dovuta sacrificare l’eleganza delle finiture interne.

Vacchini ama in ogni caso lavorare di contrasto: la luminosa leggerezza della struttura primaria che contiene il vasto spazio delle palestre per una portata di 52,6 m si oppone alla ombrosa pesantezza delle strutture autoportanti interne e alla loro sotterranea microstruttura urbana simile ad un labirinto Borgesiano (12). Un’ironica inversione interroga il nostro sguardo e le sue abitudini tettoniche, palesando una struttura non portante come se lo fosse, e viceversa.

Per Vacchini non esiste capolavoro d’architettura che non sia un capolavoro tecnologico della propria epoca, quasi che ne debba esprimere e sondare i limiti (13). Non si tratta di un atteggiamento tecnicista fine a sé stesso, ma dell’approccio di un architetto che si vuole moderno, che coglie ogni occasione per confrontarsi con la creatività dell’innovazione. Troppo spesso si è scritto di Vacchini come architetto classico, come a volerlo relegare nel passato, misconoscendo il forte carattere innovativo della sua opera.

L’ardita struttura in cemento armato prefabbricata nata in collaborazione e progettata con gli ingegneri Armand Fürst e Massimo Laffranchi sfrutta al massimo le potenzialità ed i limiti statici della precompressione, della produzione e del trasporto per minimizzare il dispendio materiale, ottimizzare i costi ed ottenere il massimo rendimento spaziale possibile desiderato (14). Una struttura che nella sua interezza si è potuta ammirare all’interno delle palestre soltanto durante la fase grezza, poiché per motivi tecnico-funzionali è stata ricoperta da un plafone ribassato.

Ogni edificio è per Vacchini l’occasione di una critica a ciò che è stato fatto prima, di quanto realizzato da sé e dai grandi maestri del passato con i quali egli si confronta. Indubbiamente Mülimatt è un dialogo critico con Pier Luigi Nervi. Non è una novità per Vacchini (15). Molti sono i parallelismi. Entrambi si liberano dal vocabolario classico e dai suoi canoni ereditati dalle costruzioni lignee per enunciare un’innovativa forma strutturale che aderisca alle sollecitazioni statiche, una forma che risponda quindi alle leggi di natura e che ne sia la diretta espressione, e che per tale motivo diventi espressione della regola, dell’ordine universale (16).

In particolare la genesi del progetto di concorso mostra chiaramente il riferimento ai piedritti inclinati della Sala delle conferenze dell’UNESCO (1952-58) a Parigi. Vacchini inverte però il rapporto dell’appoggio e la geometria del piedritto, preferendo un elegante appoggio minimo al suolo con un elemento portante che si apre verso l’alto. Se per Nervi come per Vacchini la struttura è una macchina di luce, a Mülimatt la struttura si apre esaltando il gioco di luce delle varie superfici inclinate: Vacchini progetta un muro forato in un rapporto equivalente tra pieni e vuoti, più raffinato del muro cieco parigino. La struttura orizzontale e verticale può essere ricondotta ad un unico gesto plastico e strutturale, mentre in Nervi copertura ed appoggio sono ancora eventi distinti (17).

Testamento

Sarebbe fuorviante indagare quest’ultima opera di Vacchini senza evidenziare le relazioni che tesse con il suo percorso di formazione, senza brevemente ripercorrere alcuni eventi nodali della carriera.

Vacchini era un architetto che assecondava la propria ossessione a risolvere problemi che definiva fondamentali (18), e ai quali – diceva - non poteva sfuggire: vi dedicava una recherche patiente continua, progetto dopo progetto, intento a fare, rifare, precisare la stessa cosa, che inevitabilmente risultava sempre nuova, diversa. Ogni edificio diventava occasione di innovazione e rinnovamento: un percorso di conoscenza di se stesso e del costruire.

Un percorso iniziato con lo studio del modulo quale principio costruttivo e regola della costruzione in acciaio delle scuole di Losone (1973-75) che proseguiva con il primo confronto con il cemento armato e la sua possibilità di una grande portata nelle Scuole dei Saleggi a Locarno (1969-1978) e che continuava con le prime esperienze con la precompressione nella trave longitudinale delle scuole di Montagnola (1978-1984) e nella struttura a ponte dello studio Vacchini (1985) sostenuta al suolo dai setti trapezoidali (e pilastri). L’equivalenza tra le altezze verticali dei tre spazi dello studio diventerà un tema ricorrente dell’organizzazione indifferente delle facciate o della struttura dei progetti successivi (19).

Nel progetto del Lido di Ascona (1985-1987), anche qui fondamentalmente progetto di un tetto sopra ad uno spazio verde in riva al lago, Vacchini si cimenta nell’esaltazione del comportamento statico del tetto aggettante ed indipendente così da liberare lo spazio e l’organizzazione del recinto funzionale che ospita le funzioni dell’edificio.

Nella propria casa di Costa (1990-92), Vacchini interrompe totalmente la continuità dei muri laterali per permettere alla luce di penetrarvi, utilizzandola come trave portante nel senso della lunghezza: ribalta la percezione del paesaggio come vista e sfondo e pone l’abitante quale protagonista attore sulla scena senza soluzione di continuità con lo scenario naturale.

Nella palestra di Losone (1990-97) si spinge ancora oltre: il ritmo serrato di pieni e vuoti dei pilastri che continuano nella travatura del tetto, la loro equivalenza – complementarietà, avvolge con un involucro cristallino il grande spazio libero della sala da ginnastica. Il tetto è ancora una piastra precompressa.

A Windisch Vacchini supera anche questo limite. Tipologia, tecnologia e forma sono state sviluppate da principio, già a partire dal concorso,in dialogo con l’ingegnere Non da ultimo va sottolineato in questo senso quanto Vacchini sia stato un precursore dello sviluppo di una certa architettura svizzera oggi affermata dove la struttura è indissociabile dal progetto architettonico, il dialogo tra ingegnere ed architetto una condizione creativa primaria.

Mi piace pensare che quest’ultimo edificio sia una sintesi emblematica dell’intera opera di Vacchini, in particolare di quelle architetture ricordate in questa sede: frutto maturo di un cammino di vita dedicata al mestiere. Quasi fosse una summa della propria ricerca, un testamento.

Ora, Livio, tocca a chi ti segue interrogare la tua opera, continuarla, criticarla. A volte guardo la tua foto sul mio tavolo e mi piacerebbe sapere cosa diresti di quello che si sta facendo oggi. Certo non risparmieresti qualche battuta sardonica…

(1) Paul Valéry, “Eupalinos ou l’architecte”ed. Gallimard, Paris 1921

(2) «Il préparait à la lumière un instrument incomparable, qui la répandît, tout affectée de formes intelligibles et de propriétés presque musicales, dans l’espace où se meuvent les mortels. Pareil à ces orateurs et à ces poètes auxquels tu pensais tout à l’heure, il connaissait, régulier et de l’irrégulier qu’il avait introduites et cachées, et rendues aussi impérieuses qu’elles étaient indéfinissables. Elles faisaient le mouvant spectateur, docile à leur présence invisible, passer de vision en vision, et de grands silences aux murmures du plaisir, à mesure qu’il s’avançait, se reculait, se rapprochait encore, et qu’il errait dans le rayon de l’oeuvre, mû par elle-même, et le jouet de la seule admiration. - Il faut, disait cet homme de Mégare, que mon temple meuve les hommes comme les meut l’objet aimé.» op.cit. ibidem

(3) “ Non è un segreto per nessuno di voi che “poetica” nel suo preciso significato, vuol dire studio dell’opera da “fare”. Il verbo greco p????? , in cui è l’etimo di questa parola, non significa altro che “fare”. La poetica dei filosofi dell’antichità non comportava dissertazioni liriche sull’ingegno naturale e sull’essenza della bellezza: la stessa parola t???? comprendeva per essi le belle arti e le arti utili, e si applicava alla scienza e allo studio delle regole certe e determinate del mestiere. È così che la “poetica”di Aristotele suggerisce costantemente le idee di lavoro personale, di mestiere e di struttura.” Igor Stravinskij, “Poetica della Musica” p.6 ed. Curci, Milano 1942

(4) “Nella mente di principiante ci sono molte possibilità, in quella da esperto poche”. P19.in Shunryu Suzuki “Mente Zen , mente di principiante”, ed. Ubaldini, Roma 1976

(5) „Reflections“ p.67 in Agnes Martin „Writings, Schriften „ed. Kunstmuseum Winterthur/ Edition Cantz 1992

(6) Livio Vacchini spiega che “All’origine di un opera c’è sempre un idea, e un desiderio che va oltre la banale funzionalità. L’idea é legata all’espressione come la forma è legata alla struttura.” In Carmine Carlo Falasca, “ Incontro con Livio Vacchini su tecnologie e cultura del progetto.” Edizioni Franco Angeli, Milano 2007.

(7) Livio Vacchini, relazione di progetto. 2005

(8) ibidem

(9) Mi riferisco in particolare alle suites orchestrali Petruška ( 1991-12) e Le Sacre du Printemps ( 1912-13).

(10) “La chiarezza come obiettivo” p43 in Carlos Martì Arìs, “Silenzi eloquenti. Borges ,Mies va der Rohe, Ozu, Rothko, Oteiza.”Marinotti edizioni, Milano 2002

(11) Livio Vacchini scrive riproponendo la lezione miesiana: „ Esiste una relazione semplice tra la forma ed il modo di costruire. L’idea di un edificio non va mai separata da quella della sua costruzione. … l’opera dei grandi maestri va considerata anche come espressione di una tecnica protata la limite imposto dalla perfezione.” e ancora: “ Non è possibile immaginare uno spazio separatamente dalla materia che lo compone e dalla struttura che lo definisce. Ciò significa che la scelta del sistema costruttivo è una questione cruciale.” P.38 In Carmine Carlo Falasca, “ Incontro con Livio Vacchini su tecnologie e cultura del progetto.” Edizioni Franco Angeli, Milano 2007.

(12) Le funzioni secondarie si trovano al piano seminterrato nello zoccolo, che a sua volta fuoriesce dal perimetro definito dalla struttura a telaio per contenere il terreno e le funzioni esterne. Si tratta di uno zoccolo che contiene solo sé stesso, che non potrebbe contrastare maggiormente con l’eleganza della struttura che lo sormonta.

(13) “A Stonehenge cinquemila anni fa nasce l’architettura. Una volta ultimata la posa del primo architrave, nasce una forma della conoscenza umana, la cui vera natura sarà la costruzione della luce.”. Ma anche le Piramidi, il Partenone, la Neue Nationalgalerie…Vedi Livio Vacchini “ Capolavori. 12 architetture fondamentali di tutti i tempi“ ed. Umberto Allemandi, Torino 2007

(14) Gli elementi prefabbricati sono finissimi, quasi fossero di acciaio. La loro anima varia tra i16 cm e i 24,5 cm di spessore per gli elementi verticali, per una lunghezza massima di 16,3 m ed un peso massimo trasportabile , movibile di

(15) Ad es. i piedritti inclinati dell’accesso veicolare o quelli a forma variabile del prospetto sul portico dell’edificio postale a Locarno (1988-1995)

(16) Joseph Abraham: “Pier Luigi Nervi, la resistenza per forma, la forma come struttura” p.41-57 in “Pier Luigi Nervi, Architettura come sfida “ a cura di Carlo Olmo e Cristiana Chiorino.Silvana editoriale , Milano 2010

(17) Si vedano anche altre strutture che hanno ispirato l’opera di Mülimatt come il Palazzo delle Esposizioni di Torino (1947–48) e L’aula delle udienze papali a Roma (1963-71)

(18) “Ero ossessionato, come lo sono ancora oggi, dai problemi elementari dell’architettura: quello di appoggiarsi al terreno, di elevarsi, di finire contro il cielo. L’architetto di occupa di questo piccolissimo spazio che sta tra la terra e il cielo. Non esiste oggetto o opera al mondo, che non sia fatta di tre parti. Io cercavo di capire come queste tre componenti potessero stare assieme, cosa volessero dire in passato, cosa dovessero significare oggi.”Livio Vacchini In Op.cit nota 6

(19) Come ad es. l’edificio Postale di Locarno ( 1988-1995), o la casa Aurora a Lugano (1991–1995).

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