Losone Space Oddity

Linda Stagni

Buzzi studio d’architettura vince il concorso del 2010, indetto dalla società pubblico-privata Energie Rinnovabili Losone (TI) per la progettazione di una Centrale Termica a cippato di legna, con l’intento di sfruttare maggiormente le risorse locali. Con un progetto ipogeo, Buzzi, propone di lasciare lo spazio in superficie alla città – o meglio all’agglomerazione. Tra il 2014 e il 2015 la Centrale viene realizzata, nonostante alcune modifiche, qualche compromesso e riduzione, nel concetto fedele all’idea originale. Tutti gli spazi tecnici, caldaie, bruciatore, accumulatori, silos, centralina ecc. si sviluppano sottoterra, racchiusi in un perimetro circolare di cemento armato, come una macchina «nascosta» al territorio.
Lasciarsi affascinare dall’agglomerazione e dalle sue logiche, come a volerne dichiarare e accettare serenamente il valore spaziale, non è cosa comune. Se, di fronte, la strada e una cortina di edifici industriali e del terziario chiudono classicamente la parcella, di forma triangolare, situata nei pressi di Locarno, bisogna ammettere che, sullo sfondo, la scuola media di Livio Vacchini e Aurelio Galfetti del 1975, ci ricorda che non si tratta di una periferia qualsiasi. Vale lo stesso per l’asse pedonale e di attrezzature sportive e aree verdi che fanno da dorsale alla Centrale.
Una centrale termica come piazza può sembrare un concetto architettonico alquanto strano, o per lo meno curioso. Eppure nella realtà dei fatti si presenta come un insieme di elementi in ponderato equilibrio con l’intorno. Il luogo – l’agglomerazione – è interpretato come carattere fondante del progetto. E, a questo stesso luogo, scavando, inclinando, innalzando, sperimentando, si «regala» uno spazio pubblico. Il progetto non parte da una definizione a priori di una tipologia, ma crea un’opera nell’ hic et nunc. Per fare ciò, la centrale rinuncia a un’unitarietà e si presenta come un insieme di oggetti scultorei che, oltre ad assolvere la propria funzione, si declinano in riferimenti e alter ego.
La torre della ciminiera, nei suoi ventuno metri di altezza, diventa l’icona del progetto confrontandosi a una scala equilibrata con il tessuto circostante – non è un elemento dominante ma presente. Il rivestimento in profili metallici piegati sulla metà, che sembrano arrotolarsi su loro stessi, ne slanciano la figura. Col calare della notte si accende in strisce di led di diversi colori, quasi a ironizzare sulla propria monumentalità, facendo svanire la sua concretezza e al tempo stesso riprendendo quell’elemento cruciale delle periferie rappresentato dall’insegna luminosa.
La piazza, cioè il tetto della centrale termica (costruito in lastre di cemento prefabbricato per poter essere aperto in caso di sostituzione delle macchine), è una superficie inclinata di asfalto nero staccata da terra ai suoi bordi. È disegnata sulla geometria del cerchio, simile a una rotonda stradale, non in ultimo per necessità funzionali (i camion passano, scaricano la legna attraverso le botole che si aprono sulla piattaforma e ripartono). L’inclinarsi e il distaccarsi nei bordi da terra la fanno diventare un elemento tanto visibile quanto plastico. Nel suo punto più alto si interseca col pendio retrostante dove arriva ad interpretare il ruolo di arredo urbano: ci si siede come fosse una normale panchina.
Poco distante, affianco alla piazza, a sottolineare ancora una volta la retorica del cerchio, il taglio delle scale a forma di mezzaluna, porta al piano della centrale. Una discesa in linee precise di cemento che porta sottoterra, in una fessura scultorea – quasi turreliana – che fa dimenticare appena la si percorre cosa ci sia sopra e cosa ci sarà sotto. È un luogo appeso, sospeso, prima di arrivare allo spazio della centrale, pulito e caldo nonostante il cemento della struttura e l’acciaio delle macchine.
La tromba delle scale dell’uscita di emergenza – un muretto in cemento – è l’ultimo oggetto che adorna la piazza, anch’esso circolare e piuttosto silenzioso, che fa da contrappeso in negativo alla presenza della torre.
La centrale termica di Losone ci mette davanti alla dichiarazione che l’architettura è cosa di tutti. Con «leggerezza» e sapienza, in una sperimentazione spaziale finemente riuscita, un’infrastruttura pubblica diventa una «machine à vivre» per la comunità. Il tempo della fascinazione per la tecnica è lontano, la si può interrare, e da mostrare, da mettere in risalto oggi c’è lo spazio urbano. Con tanta autoironia quanta serietà il progetto mette insieme una composizione che trova le sue ragioni nel credere nello spazio della città – per intero.
Lasciarsi affascinare dall’agglomerazione e dai suoi spazi, come a volerne comprendere le logiche intrinseche, non è cosa comune. La centrale termica tra mimesi e invenzione ci riesce, andando oltre ogni possibile cliché. Se non fosse per il profumo del legno che si diffonde dal piano sotterraneo, infondo si tratterebbe solo di una piazza e una torre. Nulla di strano. In altre parole: «You’ve made the grade».

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